
(ANSA) – ROMA, 17 GIU – Niente licenziamento per l’operaio
metalmeccanico che scopre che l’azienda lo paga meno degli altri
dipendenti dello stesso livello e reagisce, alla scoperta del
documento che comprova il ‘fattaccio’, sventolandolo sotto il
nasco dei colleghi e lasciandosi andare ad urla e frasi di “biasimo” e “critica” verso il datore di lavoro. A respingere il
ricorso dell’azienda che voleva far perdere il posto al
lavoratore protagonista di questa storia giudiziaria, è la
Cassazione che ha confermato il diritto dell’operaio a mantenere
il suo lavoro. O, in alternativa, a ricevere cinque mensilità
dell’ultimo stipendio nel caso in cui il datore non lo voglia
reintegrare, dopo il licenziamento disciplinare inflittogli nel
2017 – “per aver degenerato in urla e biasimi”, come contestato
dal datore – e ratificato nel giugno dello stesso anno dal
Tribunale di Genova. Senza successo, l’azienda ha protestato
davanti alla Suprema Corte contro il verdetto di reintegra
emesso dalla Corte di Appello del capoluogo ligure nel luglio
del 2019. Ad avviso dei magistrati di secondo grado, ‘convalidati’ dal parere della Cassazione, non poteva essere
considerato come un fatto grave “un singolo episodio consistito
essenzialmente in intemperanze verbali conseguenti alla scoperta
di essere trattato in modo deteriore rispetto agli altri
dipendenti” e che “non ha determinato nessuna ulteriore
conseguenza non essendo sfociato in vie di fatto, nè causato un
qualsivoglia danno alla società”.
Secondo il legale del datore di lavoro, invece, la portata di
quanto accaduto era stata “erroneamente ritenuta minima” e poi
l’operaio aveva pronunciato delle vere e proprie “ingiurie” con “modalità esorbitanti l’obbligo di correttezza formale dei toni
e dei contenuti”. In proposito, gli ‘ermellini’ condividono la
conclusione della Corte genovese che “tenuto conto delle
particolari circostanze che hanno determinato la reazione del
lavoratore, del grado di affidamento richiesto dalle mansioni da
lui svolte e. soprattutto del fatto che il rapporto lavorativo
si è svolto in modo regolare per circa sette anni senza dar
luogo all’irrogazione di sanzioni disciplinari” ha ritenuto “sproporzionato” il licenziamento che deve dunque ritenersi “illegittimo in quanto carente di giusta causa”.
In conclusione, per la Cassazione – sentenza 19181 della
Sezione lavoro, presidente Guido Raimondi, relatore Fabrizio
Amendola – “il percorso seguito dai giudici d’appello è
metodologicamente corretto” e la difesa del datore di lavoro
pretende una revisione di merito del giudizio “che esorbita dai
poteri” degli ‘ermellini’. Così il reclamo è stato respinto.
(ANSA).
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